Confessioni di un consulente IT

Lasciate che i clienti vengano a me…

Posted in Mercato, Musica by pigreco314 on 29 settembre, 2006

La settimana scorsa ho visitato il Top Audio, la famosa fiera dell HiFi che si tiene ogni anno all’Hotel Quark a Milano, insieme al mio caro amico nonché collega V.
Dopo aver perlustrato palmo a palmo i primi due piani di camere d’albergo adibite a sale d’ascolto e sentito un po’ troppo jazz e fusion per i miei gusti, entriamo in una stanzetta dove estasiati audiofili in religioso silenzio stanno ascoltando Hallelujah nell’interpretazione di Jeff Buckley.

V. ed io, al limite dell’ipnosi, prendiamo posto e assaporiamo fino all’ultima nota questa splendida cover del brano di Leonard Cohen, rigorosamente in vinile.
L’impianto è un Audio Note. A me il nome non dice assolutamente niente, ma io non faccio testo visto che di HiFi non so nulla. Scoprirò poi che trattasi di mitica casa produttrice molto famosa e apprezzata dagli addetti ai lavori.

Anche per le mie profane orecchie la resa del suono è stupenda, la sala diventa un luogo isolato dal mondo, perdo il contatto con tutto e percepisco solo musica.

Dopo Buckley, passiamo a Eva Cassidy che canta Fields of Gold di Sting. L’estasi si rinnova.
Mi cade l’occhio sulla copertina di un vinile appoggiato alla parete: è un disco degli SlipKnot, gruppo metal americano, anche se “metal” è forse una definizione di genere un po’ troppo riduttiva per loro. Il gruppo compare in copertina con travestimenti da pagliacci, da spaventapasseri, da “Henry pioggia di sangue” et similia. Indico il disco a V. il quale lo addita a sua volta confessando in seguito di avere pensato in prima battuta che si trattasse di un LP con le colonne sonore degli spettacoli del Cirque du Soleil (mi ha fatto ribaltare).

L’uomo Audio Note che sta dimostrando l’impianto (un signore sulla sessantina con la barbetta bianca e lo sguardo tra lo ieratico e il fuori di testa che parlava inglese ma non era inglese) presume che siamo interessati all’articolo, prende il disco degli SlipKnot (non il vinile bensì il CD “Perché suona meglio del vinile” dice lui) e attacca la banda: improvvisamente la stanza e credo anche buona parte dell’albergo viene invaso da puro metallo sonoro. L’uditorio è indeciso se mandarci a cagare come responsabili del passaggio da Eva Cassidy agli SlipKnot o se far prevalere l’indole audiofila che non può non apprezzare come quell’impianto sia in grado di dominare frequenze e volumi così estremi.

Appagati dalle meraviglie di questo impianto spettacolare ci alziamo e prima di andarcene, da sprovveduti, chiediamo a Mr. Audio Note se non abbia per caso qualche brochure sui loro prodotti.

Il tizio ci guarda quasi sorpreso per qualche istante e poi con il ditino alzato se ne esce con una frase che ci segnerà per la vita:“No, I don’t have brochures. You need to remember what you heard”.

V. e io ci guardiamo tipo “Cos’avrà voluto dire?”.

E capisco che ci sono mercati nel quale pubblicità, marketing, eventi non servono a niente: non sei tu che devi raggiungere i clienti, sono i clienti che vengono a te attratti dalla qualità di quello che vendi, qualità che ha fatto del tuo marchio un mito per intenditori. Si tratta di mercati in cui chi compra è solitamente persona molto competente, interessata ai dettagli, un acquirente estramamente consapevole che non accetta di essere ingannato.

Un identikit che quasi mai si applica ai nostri clienti (specie per la parte che si riferisce alla competenza): mi immagino cosa accadrebbe se uno dei nostri venditori al termine di una dimostrazione, in risposta a una richiesta sulla proposta economica rispondesse: “We don’t have price lists. You need to remember what you’ve seen”.

C’è da dire però che il nostro marchio è per ora molto lontano dall’essere un mito.

E a proposito di miti, signore e signori, ecco a voi Jeff Buckley che visse una vita troppo breve e per sempre rimpiangeremo.

Il suo unico disco, Grace, è musica che si deve ascoltare, anche se non avete un impianto Audio Note.

 

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Passwords!

Posted in G.T.D. by pigreco314 on 27 settembre, 2006

Sto cercando un sistema che consenta di salvare le proprie password in modo che siano accessibili in roaming: ovvero memorizzate da qualche parte nella Rete e utilizzabili dal titolare da qualunque computer online.

Trascurando per un attimo le implicazioni di sicurezza, la soluzione ideale consisterebbe per esempio nell’usare il proprio account Google e un’applicazione dedicata (per esempio un gadget di Google Desktop) che permetta di gestire un database criptato di password memorizzato nell’account.

Qualcosa di simile è disponibile con Passwordsafe ma non mi soddisfa totalmente.

Altre applicazioni interessanti sono Roboform e Keepass.

Ne farò una valutazione comparativa in uno dei prossimi post. (ho cambiato idea, N.d.R.).

Perchè mi rallegro #3

Posted in P.M.R. by pigreco314 on 27 settembre, 2006

Da anni non vedevo questo clip degli Style Council: The Boy Who Cried Wolf.

Bellissimo.

Sui Pro e i Contro dell’ outsourcing

Posted in Mercato, Outsourcing by pigreco314 on 27 settembre, 2006

Riflettendo sui temi emersi nel post “Il vortice” mi sto domandando se esternalizzare lo sviluppo del software valga veramente la pena e se sia effettivamente compatibile con un business model come il nostro che ha come obiettivo la generazione di ricavi sia dalla vendita di licenze sia dall’erogazione di servizi di consulenza ai clienti per la realizzazione di personalizzazioni (tra le altre cose).

Mi riferisco a un approccio “black box” all’uso dell’outsourcing (che è poi quello che noi vorremmo implementare): scrivi delle specifiche di disegno software che invii agli sviluppatori e ti ritorna indietro il software, una definizione forse un po’ riduttiva visto che sono stati versati fiumi di inchiostro elettronico sull’argomento ma il concetto è quello.

Pro

  1. riduzione dei costi
  2. trasferimento del rischio: non funziona? non ti pago finchè non lo sistemi in modo che io possa fatturare al cliente finale
  3. concentrare le risorse interne su servizi ad alto valore aggiunto per i clienti e meglio remunerati (project management, trusted advisors, ecc.)
  4. facile reperibilità delle risorse: sviluppatori Java, Oracle, C++ si annidano notoriamente sotto ogni tombino
  5. sgravio dei problemi organizzativi legati alla gestione del gruppo di sviluppatori: non è un problema tuo (più o meno)

Contro

  1. overhead richiesto per la gestione dei contratti con i partner in outsourcing: sottoscrizione, rinnovo, negoziazione
  2. aumento del volume delle comunicazioni
  3. processi amministrativi aggiuntivi: emissione ordini, approvazione fatture, ecc.
  4. effetto telegrafo senza fili: il cliente dice A, tu capisci B, lo sviluppatore in outsourcing capisce C
  5. overhead richiesto per il training degli sviluppatori: si assume ovvia conoscenza delle tecnologie standard ma occorre addestrarli sul prodotto che vendi ai tuoi clienti
  6. overhead richiesto per la verifica dei deliverables e il controllo di qualità
  7. manutenzione delle personalizzazioni: non le hai sviluppate tu e allo scadere della garanzia o in caso di fallimento della società di outsourcing… bye bye baby
  8. dissipazione del know-how, specie quando si esagera e si delega all’outsourcing anche attività di consulenza che faresti meglio a tenerti in casa (requirements gathering, scoping phase, ecc.)
  9. sforzo aggiuntivo richiesto nella produzione della documentazione di disegno: del tutto inutile quando il cliente non ne ha bisogno, non ne comprende il valore aggiunto e non ha intenzione di pagartela ma tu sei costretto a scriverla comunque perché qualcuno ti ha detto che non devi più scrivere codice
  10. rischio di corto circuito cliente-outsourcing: accade quando commetti l’errore di mettere in comunicazione diretta le due parti, cosa che può avere diversi esiti nefasti. Per esempio il cliente comincia a fare e disfare i requisiti utente al di fuori di ogni procedura di change control e lo sviluppatore gli va appresso lavorando allegramente sapendo che ti fatturerà time&material. Oppure il cliente mangia la foglia e si domanda perchè deve continuare a pagare il pizzo a te per fare il lavoro del passacarte quando potrebbe contrattare direttamente lo sviluppatore e risparmiare (in maniera piuttosto miope) un sacco di quattrini
  11. “Diamine! Ho detto che si usa l’outsourcing!”, disse il capo. Ed ecco che lo sviluppo di un semplice report che stampa un barcode richiede tre volte il tempo richiesto se lo facessi tu

Per ora, Contro batte Pro 11 a 5 anche se non tutti i punti hanno lo stesso peso e ogni decisione dovrebbe tener conto di fattori peculiari di ogni progetto. Inoltre ognuno di quegli undici punti ha precise contromisure che dovrebbero essere messe in atto per poter utilizzare l’outsourcing in maniera efficace ed efficiente.

Un inizio di riflessione.

Perché mi rallegro #2

Posted in P.M.R. by pigreco314 on 26 settembre, 2006

L’autostrada A4 Milano-Brescia è l’inferno in terra, soprattutto ora che si sta lavorando alla quarta corsia la cui utilità è ancora tutta da dimostrare (mancano circa 300 giorni alla fine dei lavori).

E’ nato persino da tempo un Comitato Pendolari Forzati della A4 con relativo sito internet dedicato a tutti coloro che ogni giorno si misurano con questo mostro di asfalto.

La percorro quasi quotidianamente.

Ma c’è un tratto di questa autostrada dannata che ogni giorno mi regala qualche istante di poesia ed è la vista che si può ammirare dal ponte sul fiume Adda quando ti trovi a destra (in direzione Milano) il castello di Trezzo e a sinistra la magica Crespi d’Adda.

Un panorama magnifico, specialmente quando è semi-avvolto dalla bruma del mattino e carezzato dal sole.

Un giorno o l’altro riuscirò a fotografarlo: devo solo aspettare il mega-incidente che mi blocchi in coda proprio sopra il ponte.

Il vortice

Posted in Outsourcing, Progetti, Storie Aziendali by pigreco314 on 26 settembre, 2006

Per il nuovo progetto presso il cliente L. a B*, Spagna, hai deciso di affidarti a un ex-dipendente, D.V., che ora lavora come consulente freelance (e che finora è riuscito a trovarsi un solo cliente ma questi non sono problemi tuoi).

Piccola premessa: il progetto è uno degli scheletri nell’armadio lasciati da I.D.-C., il documento di offerta grida vendetta, la stima dei costi non c’è, le spese di trasferta non sono contemplate (ovvio, I.D.-C. abitava a B*) e… vabbè, fermiamoci qui.

D.V. conosce bene la realtà di L. avendoci lavorato parecchio quando eravate ancora colleghi. Risulta quindi la scelta più ovvia per consegnare presto e bene i 5 report Oracle che ti sono stati commissionati anche se si dichiara impossibilitato a lavorare direttamente presso L. . Già gongoli per le impressionanti performance che otterrai con il margine su questo progetto. Cosa può andare storto?

Un sacco di cose, perché hai sottovalutato tre aspetti fondamentali di questo progetto apparentemente semplice: la comunicazione tra le parti, la verifica del software consegnato e le procedure di validazione (L. è una società farmaceutica).

D.V. ti consegnerà il software via email e tu lo girerai al cliente che eseguirà i propri test e ti segnalerà eventuali incongruenze a fronte delle quali tu preparerai un bel bug report chiedendo allo sviluppatore di correggere gli errori. Al termine di questa iterazione D.V. ti consegnerà la nuova versione dei report che girerai di nuovo al cliente, che provvederà a ripetere i test, a notificarti l’esito ecc. Non è difficile immaginare che con questo processo i tempi di accettazione (e quindi di fatturazione) si allungano enormemente. Per il cliente ogni minuzia (l’etichetta un po’ più a destra, questa scritta in grassetto, il logo sbagliato) è un errore che va risolto. Inoltre, quando gli errori sono particolarmente gravi (es. “non funziona niente” punto) il feedback dal cliente non è nemmeno significativo: devi essere là per capire cosa non funziona e mandare indicazioni chiare allo sviluppatore. Ed eccoti smarrito nel vortice no.1, quello delle email con i feedback che allegramente contribuiscono a intasare la tua povera inbox.

Un modo per limitare le dimensioni del vortice è quello di farsi mandare dal cliente quante più informazioni possibile per riprodurre i problemi: gli identificativi dei dati con cui sono stati fatti i test, per ciascun dato erroneamente visualizzato l’indicazione di che cosa dovrebbe comparire al suo posto, esatte indicazioni su come modificare il layout di un report (anche via fax con scritte a mano che dicano cose del tipo: “questa colonna un po’ più a destra, la scritta di 10 pixels più grande”,ecc.) possibilmente utilizzando per i bug report un template predefinito. Ovviamente ogni bug deve essere registrato e tracciato: potrebbe bastare un file excel ma sarebbe meglio un sistema di bug tracking (io mi trovo molto bene con Bugzilla)

Inoltre le verifiche effettuate dal cliente se possibile dovrebbero essere trasmesse in videoconferenza o webex in modo che sia possibile vedere con i propri occhi che cosa sta andando storto e annotare ogni dettaglio: tieni presente che molto spesso una videoconferenza o un webcast si possono registrare e analizzare i filmati in seguito con più calma.

Dicevo dei test: ovviamente hai commesso l’errore di pensare che D.V. fosse dotato di poteri sovrannaturali e in grado di rilasciare codice esente da errori al primo colpo. Hai pensato che l’avergli fatto avere una macchina virtuale VMWare con una copia del sistema installato presso il cliente fosse sufficiente a eliminare qualsiasi rischio al punto che non ti sei nemmeno preoccupato di procurarti tu stesso una copia della virtual machine.

La prima versione dei 5 report è un disastro: l’hai girata direttamente al cliente senza nemmeno verificarla (e come avresti potuto senza un ambiente di test?) . Com’era da prevedersi il cliente ti ha rispedito indietro un email con la madre di tutti i feedback (“non funziona niente punto”). E ti è andata ancora bene. Avrebbe potuto scrivere: “Divertente! Però ora mandami i report veri…”.

Ti alteri un pochino anche con D.V. che ovviamente è tutto un “Oopss! Ho dimenticato di ricompilare”, “Acc! Non ho installato quel tal package sul database”, “Quella cosa non funziona? Impossibile!”, ecc.

Da questo momento in poi si procede per approssimazioni successive e comincia il vortice no.2, quello delle versioni del software che spesso il povero D.V. ti manda a orari impossibili: tu stai dormendo ma lui lavora e, ahimè, con una percentuale di accuratezza non certo favorita dallo sviluppare report nel cuore della notte. I file che ricevi e mandi al cliente non sono identificati da un numero di versione e capita a volte che i test vengano eseguiti utilizzando revisioni obsolete. Tutto ciò contribuisce ovviamente ad incrementare l’entropia dell’Universo. La prossima volta ricordati di chiedere che il numero di versione del software sia chiaramente indicato sul report stampato e venga incrementato a ogni consegna ufficiale. E, per favore, deciditi finalmente a utilizzare il Software Configuration Manager di cui la società ha acquistato un cospicuo numero di licenze (usiamo Perforce).

Piano piano la lista di problemi si riduce, ne sono rimasti 4 o 5. Vedi la luce: hai deciso di farla finita e di correggere personalmente i bug. Ma non hai un ambiente di test e quindi sei costretto a connetterti via dial-up al server RAS del cliente per effettuare le correzioni e le prove. Velocità di connessione: 33.6Kbit/s . Tempo per ricompilare e provare un report dopo ogni modifica: circa 15 minuti. Ti sei giocato un giorno intero (per tacere della bolletta telefonica) per sistemare quelle 4 o 5 cosucce.

Ma sei felice perchè puoi mandare finalmente la versione definitiva dei report che girano come un violino. In quella che pensi sia la conference call conclusiva hai appena pronunciato il fatidico “Bene, allora… si fattura. Giusto?”. E ti senti rispondere un “Aspetta aspetta. Mancano ancora i documenti che certificano l’esecuzione dei test . A proposito, dovresti anche venire qui a firmarci i documenti di specifica”.

Una risata isterica ti si disegna sul viso. Ti vedi già preda del vortice no.3, quello dei documenti di convalida che forse dovranno anche viaggiare per posta ordinaria.

Mancano 3 giorni alla chiusura del trimestre fiscale: ce la farai a fatturare il 100% del tuo forecast su questo progetto?

La risposta tra qualche giorno.

Annoti distrattamente su un pezzo di carta: la prossima volta chiedere a D.V. di dormire la notte, lavorare di giorno e sviluppare i report direttamente dal cliente, cercando di compiacere in ogni modo la gentile responsabile QA che ha commissionato i report.

Dinosauri aziendali

Posted in G.C., Persone, Storie Aziendali by pigreco314 on 24 settembre, 2006


Originally uploaded by seaan.

I Dinosauri (dal greco δεινός, terribile e σαῡρος lucertola) sono un gruppo di rettili di varie dimensioni, appartenenti alla sottoclasse degli arcosauri, che dominarono l’ecosistema terrestre per oltre 165 milioni di anni e apparvero tra la fine del Triassico medio e l’inizio del Triassico superiore. Si estinsero completamente circa 65 milioni di anni fa, alla fine del periodo Cretaceo, e ci sono noti solo attraverso resti fossili studiati e scavati dai paleontologi, e più recentemente anche da collezionisti.

Nella nostra organizzazione si verificano catastrofi occasionali che determinano l’addio di qualche manager immancabilmente per “cogliere nuove opportunità” (pursue new opportunities) altrove.
Alcuni sono sempre lì da epoche immemorabili e viene il dubbio che nessuna catastrofe sia abbastanza grossa da spazzarli via.
Come il nostro caro responsabile Finance Italia, G.C.: i manager europei vanno e vengono ma lui sempre lì sta.

Settimana scorsa il nostro kapò ha mandato a tutta la business unit Italia un invito per una sessione sulle policy relative a “Business Ethics and Code of Conduit”, ovviamente con due soli giorni di anticipo, nella certezza che la gente non aspetti altro che i suoi e-mail per organizzarsi la settimana.
Una presentazione avvincente, o forse dovrei dire una lettura avvincente: avete presente il tipo di speaker che non fa altro che leggere quello che c’è scritto sulla presentazione? Bene, moltiplicate il tutto per 43 slides power point e avrete un’impressione accurata della situazione.
Fortunatamente, il nostro G.C. ci ha messo del suo per rendere un po’ più interessante la dotta dissertazione. I seguenti termini sono il suo marchio di fabbrica:

  • Disbuskement (voleva dire Disbursement)
  • Supportazione (aarhg!)
  • Splittamento (poteva fermarsi all’inglesismo “split”, ma ha voluto strafare)
  • Signor Management (un piccolo difetto di pronuncia di Senior Management)
  • Scalare verso l’alto (interessare di una questione un responsabile di livello superiore, dall’inglese “to escalate”)
  • “siccome che…” (no comment)
  • Accordi a Parte (la sua personale traduzione di Side Agreement)

e l’immancabile “prerogativa”, utilizzato circa 427 volte nelle accezioni più strane.

Ma forse una catastrofe è all’orizzonte: si rincorrono voci non confermate che cambieremo sede. Pare che il Nostro sia stato incaricato di occuparsi dell’intera faccenda: valutazione sulla nuova collocazione, stima dei costi, pianificazione, ecc.
Che sia tutta una manovra per abbattere il brontosauro, certi del suo fallimento?

Perchè mi rallegro #1

Posted in P.M.R. by pigreco314 on 23 settembre, 2006

Mi sono imbattuto in un esilarante articolo “Mathematical Genius” dal blog Immense Knowledge. Consigliato solo a ingegneri o fisici o chiunque abbia qualche reminiscenza di Analisi Matematica, altrimenti non fa ridere.
Ricordo ancora ai tempi dell’università i testi fasulli dell’esame di fisica che circolavano tra gli studenti del primo anno:
“Un cammello in corsa urta contro una piramide con urto anelastico. Conoscendo la massa e la velocità del cammello nonché la massa e l’età della piramide calcolare di quanto rimbalza l’animale”.

Oppure:
“Spiegare con considerazioni dimensionali perchè il tempo si misura in secondi e non in Hz/litro”

Bei tempi…